PAOLO BARNARD

Perché ci odiano, BUR, 2006

 

Con questo accessibile e lucidissimo testo il giornalista Paolo Barnard, che in passato ha lavorato per la nota trasmissione d’inchiesta Report entra con decisione sul tema che più ha occupato schermi televisivi ed editoriali in questi ultimi anni: il terrorismo.
Report è fra i pochi programmi che riescono a fuoriuscire dalla rassicurante conferma di narrative – termine assai caro a Barnard – tenute salde dagli ambienti ufficiali, se non dai più superficiali luoghi comuni al limite dello stereotipo razzista. Fra i servizi delle ultime stagioni chi è interessato alla politica internazionale ricorda con particolare calore il servizio, trasmesso durante la stagione 2003/2004 intitolato L’altro terrorismo [1]. Dopo qualche anno l’autore torna su quei temi riproponendone in questo testo gli argomenti, ampliandoli e sostenendoli con forte cura documentaria.


I punti nodali del testo riguardano la reale consistenza delle politiche dei governi occidentali che possono essere considerate di carattere terroristico; Stati Uniti, Israele, Gran Bretagna e Russia. Tali paesi, essendosi qualificati come i protagonisti di una lotta globale contro il terrorismo, sono al centro di una spietata analisi che, riga dopo riga, mette di fronte agli occhi del lettore una esplosiva documentazione “blindata”[2] la quale illustra il calibro criminogeno delle loro politiche estere, le lampanti contraddizioni e quanto tale realtà sia distante dalla vulgata rappresentazione mediatica. Conclusioni sostenute da quello che, dovendo essere il fatto principale del giornalismo, è invece divenuto sempre più raro: constatare e controllare coi propri occhi. Altamente indicativa in tal senso è l’intervista al vicino di casa di Mohammed Atta, capo dei dirottatori dell’11 settembre.
Il punto di forza più dirompente del testo è un capovolgimento della visione usuale del terrorismo; seguendo l’opinione di Edward S. Herman[3] si afferma che i primi e più forti terroristi del mondo sono gli stati occidentali sopra menzionati: USA, Gran Bretagna, Israele, Russia[4]. I gruppi come al-Qaeda sono degli imitatori tardivi e assai meno pericolosi. Tale tesi, che suona come poco meno di una bestemmia per la maggior parte delle persone, trova dei forti riscontri approfondendo le seguenti domande: quali sono i reali motivi degli estremisti islamisti, in specie della rete che ha Bin Laden come riferimento?

Le cause abitualmente elencate per spiegare l’avversione di un buon numero di musulmani verso l’Occidente sono: l’odio per la libertà e la democrazia, la livorosa invidia per lo sviluppo economico, l’aggressività nel propagare l’Islam con correlato carico di usanze retrograde. Sulla base della propria ricerca sul campo Barnard demolisce tali luoghi comuni mostrando, per bocca degli stessi musulmani, le reali ragioni: le politiche occidentali di ladrocinio delle risorse col conseguente sostegno a regimi dittatoriali, la questione palestinese e la irritante parzialità verso Israele. Soprattutto quest’ultima è un elemento di primaria importanza riguardo al rapporto con mondo islamico, al quale è dedicato un inquietante capitolo (pp. 203-288). Oltre a intervistare un gran numero di musulmani l’autore si basa sulla testimonianza di un ex appartenente alla rete di Bin Laden che delinea l’evoluzione di tale realtà dalla militanza contro i leader arabi alla guerra contro chi li sostiene: le potenze occidentali, in primis gli USA[5]. Al carico di rancore accumulato nel mondo arabo sono dedicati sostanzialmente i capitoli 2 (Le ragioni dell’odio) e 4 (Il terrore intoccabile), mentre il 3 (Due pesi e due misure) descrive la sconvolgente disparità di trattamento fra il terrorismo di matrice antioccidentale e islamista (universalmente esecrato e condannato) e quello diretto dalle potenze occidentali (occultato a tal punto da suscitare l’incredulità quando i semplici fatti vengono esposti). A tal proposito l’autore racconta della caccia ad alcuni personaggi che vivono comodamente negli USA in Gran Bretagna, tanto immuni dalla pubblica riprovazione quanto dai provvedimenti giudiziari. Il modo in cui Barnard – come si era già visto nel servizio trasmesso su Report – è riuscito ad avvicinare tali personaggi, che per l’efferratezza dei crimini e la situazione di appartata clandestinità ci ricorda gli ex nazisti espatriati[6], restituisce davvero un’altra dimensione al giornalismo d’inchiesta, mostrando ex negativo l’abissale servilismo del panorama corrente. Il capitolo illustra anche una consistente dose di prove riguardanti le complicità nei crimini che costellano la recente storia sudamericana (la controguerriglia di vari paesi finanziata, armata e diretta dagli USA), il sanguinoso colpo di stati in Indonesia nel 1965, la repressione da parte della Turchia dei curdi.

Concludono il volume due appendici, dedicate ai leader arabi e alla sintesi del conflitto arabo-israeliano, seguiti da un contributo del giornalista Giorgio Fornoni sulla Cecenia.
Nonostante che la separazione fra fatti e opinioni – punto cardine della professionalità giornalistica di ara anglosassone, a malapena percepita in Italia – venga rigorosamente applicata, l’elencazione, riga dopo riga, documento dopo documento, di così impressionanti crimini testimonia in sé l’indignazione morale dell’autore, cui corrisponde la pressante e vibrante indicazione di bloccare la spirale del terrore, prendere coscienza di tali enormità e di bloccare i governi che la innescano bocciandone le politiche.
Rimane da commentare il pervicace boicottaggio operato da tutti i media nei confronti del testo, salvo pubblicazioni marginali nel panorama editoriale[7]. La ragione probabilmente risiede nei paragrafi dedicati a Israele, che rappresentano certamente uno degli attacchi più forti e documentati mai scritti in lingua italiana verso le politiche dello stato ebraico; evidentemente le espressioni più ideologicamente sbilanciate risultano più accettabili di una seria inchiesta senza basi politiche preconcette.


NOTE
[1] Tutte le passate puntate di Report sono visibili sul sito della RAI. In specie, la puntata summenzionata è visibile al seguente link: http://www.report.rai.it/RaiDue/RE/ram/vid20030923.ram.
[2] Anche in senso letterale, dato che l’autore riproduce nel testo la fotocopia dei documenti originali. Il termine “blindata” è riferito alla scelta delle fonti documentarie, secondo la logica che è comunemente nota come “la prova del diavolo”: se un credente dice di aver visto il diavolo è sospetto, perché ciò conferma la sua posizione; se è un ateo a sostenerlo è assai più credibile per il motivo opposto. Così, nel trattare i crimini di USA e di Israele, l’autore adopera quasi esclusivamente fonti statunitensi ed israeliane, specialmente documenti ufficiali – ovviamente non molto noti al pubblico.
[3] Si veda a pp. 131-132.
[4] Nel testo si citano anche Francia e Belgio, anche se i fatti che li riguardano non vengono approfonditi. Ricordiamo che scopo del libro è capire “perché ci odiano”, cioè disvelare i retroscena più strettamente correlati con la violenza di ritorno verso i paesi occidentali.
[5] Interessante nella sua disarmante ovvietà una frase di Bin Laden citata nel testo, tesa a respingere le accuse di odiare le libertà occidentali, che è: “che ci spieghi [il presidente Bush] perché non attacchiamo la Svezia”.
[6] Tale somiglianza si rafforza se si tiene presente che tali figure – Emmanuel Constant di Haiti, leader del FRAPH, il cubano estremista anticastrista Orlando Bosch, il britannico David Walker, ecc – contrariamente a quanto si può immaginare godono di una potente rete di protezioni atte a scoraggiare chi va a ficcare il naso, i cui vertici si collocano ben vicini ai governi suddetti. Altro che timorosa clandestinità!

[7] Trattasi del periodico AltrEconomia, pubblicazione dedita a temi quali lo sviluppo sostenibile, il commercio equo e solidale e simili. In un incontro al pubblico l’autore, esponendo tale ostracizzazione, ha manifestato una crescente sfiducia nella possibilità di suscitare una decisa fuoriuscita dell’opinione pubblica dai consolidati luoghi comuni, visto il muro dell’élite, almeno per quanto riguarda il contesto italiano. Non è chiaro quanto tale giudizio si estenda all’intero occidente – sicuramente per gli USA, si veda pp. 206-218 e pp. 223-224 - , ma dal contesto generale del discorso parrebbe universalizzabile. Specialmente pensando a paesi come Austria, Germania e Francia in cui vi sono reali trascorsi di antisemitismo attivo (tardivo e poco partecipato in Italia) per i quali il debito morale degli ebrei con le sue potenzialità ricattatorie è più forte.